Contributi INPS per unioni civili e convivenze di fatto

L’ INPS ha recentemente chiarito con la circolare 66/2017 i risvolti in materia di obbligo previdenziale nelle gestioni autonome “artigiani e commercianti” per i componenti delle Unioni civili tra persone dello stesso sesso e delle convivenze di fatto - così come regolamentate dalla legge 76/2016 - che prestano stabilmente la propria opera a favore dell’imprenditore.

Unioni civili

La legge 76/2016 che le ha normate prevede che, in materia di Unioni civili, “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso”.
Tale equiparazione tra il coniuge ed ognuna delle parti dell’Unione civile estende pertanto, conferma l’ INPS, tutte le tutele previdenziali in vigore per gli esercenti attività autonoma anche ai coadiuvanti che svolgono attività lavorativa nell’impresa, se uniti al titolare o socio da un rapporto di unione civile, registrato ai sensi di legge.
Anche per quanto riguarda l’impresa familiare di cui all’ art. 230 Codice Civile, che disciplina diritti ed obblighi dei relativi partecipanti, deve intendersi che il soggetto unito civilmente al titolare dell’impresa familiare deve essere equiparato al coniuge, con tutti i conseguenti diritti ed obblighi di natura fiscale e previdenziale.

Convivenze di fatto

L’ INPS ricorda che le convivenze di fatto consistono in “unioni stabili tra due persone maggiorenni, legate da vincoli affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”.
Sebbene la nuova normativa estenda al convivente alcune tutele, espressamente indicate, riservate al coniuge o ai familiari, ad esempio in materia penitenziaria, sanitaria, abitativa, non introduce però specificatamente alcuna equiparazione di status, né estende al convivente, per quanto di interesse, gli stessi diritti/obblighi di copertura previdenziale previsti per il familiare coadiutore.
Pertanto, il convivente di fatto, non avendo lo status di parente o affine entro il terzo grado rispetto al titolare d’impresa, non è contemplato dalle leggi istitutive delle gestioni autonome quale prestatore di lavoro soggetto ad obbligo assicurativo in qualità di collaboratore familiare.
Le sue prestazioni saranno quindi valutabili, secondo l’ INPS, “in base alle disposizioni vigenti ed alle elaborazioni giurisprudenziali, al fine di individuare la tipologia di attività lavorativa che si adatti al caso concreto”.
La Circolare analizza infine la novità introdotta all’art. 230 ter del Codice Civile, che attribuisce al convivente “che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente“ il diritto di “partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato”, a meno che non sussista già tra le parti un rapporto di subordinazione o di società.
Secondo l’interpretazione attuale dell’INPS, considerato che il convivente non è stato inserito tra i componenti dell’impresa familiare ma normato in un articolo a parte, si ritiene che, alla luce del tenore letterale e dell’interpretazione delle disposizioni introdotte, l’eventuale attribuzione di utili d’impresa al convivente di fatto da parte del titolare non abbia alcuna conseguenza in ordine all’insorgenza dell’obbligo contributivo del convivente alle gestioni previdenziali artigianato e commercio, mancando i necessari requisiti soggettivi, dati dal legame di parentela o affinità rispetto al titolare.

Per ulteriori informazioni, tel. 0173/226611
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